Produzione di biomasse in una piantagione di Eucalyptus

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Un caso di studio concreto e considerazioni generali sulla filiera energia-biomasse.

Premessa Gli eucalitti sono piante originarie dell’Australia e di alcuni territori limitrofi appartenenti alla vasta e diffusa famiglia delle Myrtaceae (più di 3.500 specie). Il genere Eucaypto , nelle sua area d’origine, è rappresentato da oltre 500 specie che occupano i più svariati ambienti, dove si presenta sia con specie a portamento arbustivo sia con forme arboree la cui altezza è seconda (Eucalyptus regnans con altezze di oltre 90 metri) solo alla Sequoia sempervirens, il cui esemplare più alto supera i 115 metri di altezza. Ogni specie ha esigenze podologiche e climatiche proprie, ma nessuna tollera temperature inferiori a – 12° C.

In Italia i primi euaclitti furono introdotti nel 1870 nel Lazio dai Padri Trappisti dell’Abbazia delle Tre Fontane perché si riteneva che combattessero la malaria (R. Gellini 1975). Il numero preciso delle specie introdotte in Italia è di difficile determinazione in quanto, oltre che negli usi tradizionali, trova impiego per scopi ornamentali e più recentemente nelle coltivazioni a rotazione breve per la produzione di biomassa: presumibilmente il loro numero supera le 40 specie. In Sardegna è stato introdotto agli inizi del 1900 per la bonifica di aree paludose e canali ed ha successivamente trovato un più largo impiego come frangivento, come fonte di produzioni legnose, nonché per la produzione del rinomato miele, la cui qualità isolana è molto apprezzata.

Le specie più diffuse in Sardegna per usi agrari e forestali sono l’Eucalyptus camaldulensis e l’Eucalyptus globolus: quest’ultimo è ammirabile con maestosi esemplari nella foresta di Monti Mannu nei pressi del vivaio dell’Ente Foreste.

L’aspetto che viene trattato nel presente articolo riguarda la produzione di biomassa in una piantagione di Eucalyptus camaldulensis, ubicata in località Pimpisu nel Comune di Samassi, lungo la S.P. Villacido-Samassi, per il quale è previsto il governo a ceduo con un turno di utilizzazione di 15 anni.

Risultati dei rilievi Il bosco, oggetto del presente studio sulla produzione legnosa ottenibile da una piantagione di Eucalyptus camaldulensis coltivato nella zona, ha un’età di 15 anni e quindi ha raggiunto l’età prevista per il primo taglio di utilizzazione. I rilievi per determinare la biomassa sono stati effettuati su aree di saggio lineari (lungo i filari), in quanto la coltivazione è stata eseguita con un sesto di impianto regolare (mt 3 x 3). Dall’elaborazione dei dati si è rilevato un numero medio di 888 piante ad ettaro a fronte di circa 1.110 alberi ad ettaro originariamente impiantati, con una mortalità del 20%, che comunque non ha influito sulla produzione, in quanto gli alberi adiacenti ai soggetti morti hanno colmato lo spazio creatosi fra le chiome espandendo i propri apparati fogliari, e di conseguenza sviluppando fusti di diametro maggiore: la mortalità degli alberi in bosco, oltre che essere causata da attacchi parassitari, incendi e altri disturbi, si verifica normalmente per effetto della competizione esercitata dai soggetti più vigorosi, che prendono il sopravvento e relegano i soggetti più deboli al piano inferiore, determinandone il progressivo indebolimento e la morte per mancanza di una sufficiente illuminazione. Per pervenire alla stima della biomassa, da prima si è misurata l’area basimetrica (area basimetrica = superficie della sezione del fusto misurata a 1.30 metri dal suolo) degli alberi campionati e successivamente si è calcolata l’altezza media degli alberi di area basimetrica media, che è risultata di metri 10,80 (Struttura monoplana con altezze comprese fra 10 e 11 metri). In seguito si è provveduto all’abbattimento degli alberi modello sui quali sono state eseguite diverse misurazioni del tronco (lunghezza fusto, area basimetrica delle sezioni ecc.) e la pesatura del fusto e della frasca in modo separato. Con i dati raccolti è stato possibile dedurre la produzione legnosa: il volume totale del fusti (senza chioma) è risultato di circa 97 metri cubi ad ettaro ed il peso di circa 1.060 q.li ad ettaro allo stato fresco; invece, il peso delle sole chiome è risultato di circa 106 quintali ad ettaro, pertanto la biomassa totale prodotta da un ettaro di eucalipteto coltivato nella zona è di circa 1.166 quintali ad ettaro: una produzione di tutto rispetto, anche se non particolarmente elevata per le potenzialità della specie che, in condizioni ottimali, può avere incrementi medi superiori a 30 metri cubi ettaro/anno (nelle regioni tropicali ed equatoriali piovose e nelle aree irrigate) contro i 6,5 – 7 metri cubi ettaro/anno rilevati, che comunque si collocano all’interno dei valori di 5-9 metri cubi/ettaro rilevati nei boschi di eucalitto coltivati in Italia (Bernetti). Incrementi di biomassa molto elevata, di 30-45 metri cubi ha/anno,  si possono ottenere nelle coltivazioni di eucalitto a ciclo breve, che prevedono turni di 6-7 anni e una coltivazione di tipo agronomico che prevede l’irrigazione e la concimazione.

Considerazioni generali L’argomento della produzione delle biomasse per uso energetico riveste una notevole importanza nella società attuale, sia per i costi sempre più elevati dei combustibili fossili e quindi dell’energia, sia per le implicazioni di carattere ambientale (riduzione delle emissioni di CO2 di origine fossile, ecc), nonché per l’opportunità che offre anche al comparto agricolo: diversificare le produzioni agricole spesso in eccedenza e difficilmente collocabili sul mercato a prezzi remunerativi; soddisfare i fabbisogni di energia per usi aziendali con conseguente abbattimento dei costi. Infatti, le aziende, in particolare quelle agro-zootecniche che dispongono di grandi superfici, potrebbero avvicinarsi all’autosufficienza energetica dedicando una parte della superficie aziendale alle produzioni legnose, che possono essere attuate anche con specie arboree autoctone e specie che producono frasca da destinare all’alimentazione del bestiame. La produzione di biomassa può essere effettuata sia creando appositi boschetti, ma anche convertendo sistemi agronomici puri in sistemi agro-forestali (in questi casi sono preferibili specie diverse dagli eucalitti), dove l’albero, coltivato in filari o fasce frammiste alle coltivazioni, garantisce una maggiore difesa del suolo, specialmente dove si praticano coltivazioni annuali che lasciano il suolo scoperto per lunghi periodi esponendoli all’erosione ed al dilavamento. Inoltre gli alberi, con il loro apparato radicale, riescono ad utilizzare gli elementi nutritivi degli strati di suolo più profondi, che vengono restituiti sotto forma di lettiera negli orizzonti superficiali, migliorando notevolmente il ciclo bio-geochimico degli elementi. Fra gli altri vantaggi offerti dalla piantagione di alberi, non meno rilevante è la creazione di zone microclimatiche (riparo dai venti, zone d’ombra ecc.) e la produzione di frasca verde e/o frutti per l’alimentazione animale: l’unico svantaggio è dovuto ad una maggiore difficoltà di gestione del sistema agro-forestale rispetto al sistema agronomico puro estremamente semplificato, in quanto richiede una maggiore professionalità degli operatori ed un parco macchine relativamente più articolato.

Conclusioni L’argomento è sicuramente molto complesso e non può essere adeguatamente trattato in questa occasione senza il rischio di incorrere in eccessive generalizzazioni che possono portare a conclusioni superficiali, dettate più da ragioni emotive che da valutazioni tecniche e scientifiche, come spesso avviene quando si parla di eucalitti, le cui piantagioni, spesso ingiustamente demonizzate (concordo che in svariati contesti ambientali sia stato inserito in modo spropositato), se attuate in condizioni pedo-climatiche idonee possono dare un valido contributo alla produzione di energia (calore ed elettricità) ed integrarsi con le altre fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico), specialmente se inserite in un più vasto programma di utilizzo delle biomasse che preveda: l’utilizzazione dei residui di potatura dei fruttiferi e delle siepi, della vegetazione che ostruisce i corsi d’acqua, dei diradamenti e delle utilizzazioni delle superfici boschive di origine naturale e di tutti i residui vegetali provenienti dalle lavorazioni industriali (oleifici, segherie ecc.). La filiera biomasse-energia, nel complesso, porta anche indubbi vantaggi nell’abito della manutenzione del territorio, consente di utilizzare i residui di lavorazione agricoli considerati in molti casi rifiuti speciali, può creare nuovi ed interessanti sbocchi occupazionali ed inoltre, le eventuali piantagioni appositamente create, possono essere facilmente riconvertite in colture agrarie con le comuni lavorazioni agronomiche, in quanto il suolo non viene interessato da manufatti (basamenti, tralicci, pannelli ecc) che devono essere smaltiti alla fine del ciclo produttivo.

Mariano Cocco

Villacidro.info – 23 aprile 2012

6 COMMENTI

  1. concordo come al solito con quello che dici
    non esistono piante buone o cattive, dipende dall’uso che se ne fa.
    ho visto terreni coltivati ad eucaliptus dove dopo l’estirpazione delle piante e successiva lavorazione ci cresceva il foraggio alto il doppio dei terreni vicini.
    A volte siamo un pò razzisti anche con le piante..

  2. E cosa ci dice sulla problematica degli ultimi parassiti che sono comparsi in questi ultimi anni e che hanno provocato gravi deperimenti agli impianti recenti??
    a cominciare dalla Phoracantha per finire con il Glycaspis brimblecombii?? non crede che questi ultimi attacchi abbiano dimostrato la fragilità di un sistema imperniato su un prodotto che, essendo importato, non ha avuto tempo di sviluoppare una sufficente biodiversità per garantire una maggiore resistenza alle avversità?

  3. Sui parassiti di recente comparsa direi che è un problema che non riguarda solo gli eucalitti ma diverse specie forestali , ornamentali ed agrarie e pone seri dubbi sull’efficacia dei controlli delle piante di provenienza extraisolana con le quali fanno ingresso nuove specie invasive particolarmente dannose perché senza antagonisti naturali. Siamo in un isola e protetti dal mare e quindi i parassiti possono arrivare solo con il trasporto, questo è un grande vantaggio, ma è necessario un maggiore controllo per evitare l’ingresso di nuovi patogeni . Gli eucalitti negli ultimi anni sono stati colpiti anche dagli imenoteri del genere ophelimus apostrocetus e la Psilla lerp che, in Calabria, sta creando forti preoccupazioni per la produzione del miele). Per combatterli si può intervenire con il miglioramento delle razze e l’introduzione di antagonisti ma in molti casi come ad es. nei frangiventi potrebbero essere sostituiti con specie autoctone: una piccola prova fatta in un agrumeto ha evidenziato che un frangivento costituito da lecci, olivastri, alterno ecc. esercita una competizione per le risorse (luce ed acqua ecc) notevolmente minore rispetto all’eucalitto che arriva a rendere improduttivi i filari più vicini al frangivento. E’ necessario comunque proteggere gli eucalitti anche se non autoctoni, almeno in quelle occasioni dove è entrato a fare parte di un uso consolidato ed economico, come del resto è stato fatto per la maggior parte dei vegetali di cui facciamo uso e a cui i problemi fitosanitari non mancano, ma ciò non preclude che debba aumentare anche l’interesse per la sperimentazione delle specie autoctone, che se coltivate con tecniche agronomiche presentano accrescimenti molto superiori che in natura, anche, se pure in questo caso, aumenta la fragilità che purtroppo caratterizza i sistemi agronomici.

  4. in natura non esiste specie che non abbia delle altre specie antagoniste, (escluso l’uomo, per il quale l’antagonista è la sua stessa specie), più volte sono stati introdotti insetti che parevano distruggere delle piante coltivate o spontanee. Purtroppo è un fenomeno inarrestabile, non basterebbe neanche bloccare le importazioni di piante, questi insettini spesso arrivano (oltre che con piante vive) come “clandestini” sulle navi, sui bagagli o negli alimenti o sui vestiti delle persone, trasportati dal vento, molto spesso (come la Psilla lerp) sono anche buoni volatori, è praticamente impossibile fermarli, non basterebbe un esercito di controllori, prima o poi un buchino lo trovano, e più sono piccoli più è difficile fermarli. Una volta che arrivano occorre andare nei luoghi di origine, che si conoscono benissimo, e ricercare quelli che sono i predatori e i parassiti naturali, accertarsi che questi ultimi non facciano ulteriore danno, e importarli; occorre fare in fretta, prima che le piante attaccate muoiano, alla fine si instaura un equilibrio e difficilmente si arriva alla sparizione di una specie da una zona. In sardegna l’eucaliptus ha trovato la sua ragione d’essere, in alcuni casi può anche essere sostituito, ma nessuna specie finora ha dimostrato di avere accrescimenti in altezza e incrementi annui come l’eucaliptus, in molti casi la sua scomparsa causerà delle grosse perdite.

  5. E’ tutto in tema, perché sono stati accennati problemi non trascurabili che riguardano il primo anello della filiera legno-energia (capacità produttive e minacce): il buon esito produttivo di un bosco di origine naturale e/o di una piantagione creata dall’uomo, dipende moltissimo dallo stato di salute e dall’impegno che occorre per mantenerlo, il che può condizionare la scelta delle specie, del tipo di impianto,dei turni di utilizzazione ecc.
    Una precisazione: Psilla lerp è il nome comune del parassita Glycaspis brimblecombei (emitteri) prima citato da Capron3.

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