Piccoli supermercati destinati a morire: parola di Giovanni Muscas

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Aumentano i centri commerciali nell’isola, ma la spesa dei sardi diminuisce. La spesa alimentare nell’isola ammonta a tre miliardi, la metà volano verso Francia e Germania

Quanto spendono i sardi per la spesa alimentare? E quanto di quella cifra rimane in Sardegna e quanto invece prende la via della Penisola o dell’Europa? Le tabelle che pubblichiamo in questa pagina ci aiuteranno a capire questo dilemma. Certo sono lontani i tempi nei quali la spesa andavamo a farla nel negozietto sotto casa. L’impetuosa nascita dei grandi centri commerciali ha rivoluzionato il mercato isolano, le nostre abitudini, le nostre esigenze. Per esempio, come cambia, se cambia, il contenuto del nostro carrello in questi tempi di crisi?

Perché un altro centro commerciale a Sassari? Davvero c’è lo spazio di mercato per tutti? Perché, insomma, Carrefour o Decathlon sbarcano a Sassari? La risposta è affermativa: lo spazio, evidentemente c’è. Anche se, alla fine, poiché lo spazio complessivo di mercato (soprattutto in tempi di crisi) sarà più o meno sempre lo stesso, vorrà dire che qualcuno guadagnerà degli spazi a danno di altri, che, ovviamente, dovranno rimetterci. E dal momento che la capacità di spesa dei sardi non pare destinata ad aumentare, succederà, più o meno, come con la classica coperta: a seconda di come la tiri, coprirai una parte e ne scoprirai un’altra.

Il processo di concentrazione nel commercio, da anni ormai, va avanti a passo spedito e nei diversi paesi europei, tocca livelli che variano dal 33,5% dell’Italia (dove quella quota viene spartita da Coop, Conad e Selex) al 60% della Gran Bretagna (diviso tra Tesco, Asda e Sainsbury). In Francia Carrefour, Casino e Leclerc (che in Italia si chiama Conad) si prendono il 55% del mercato.

In Italia la divisione della torta vede, all’incirca, Carrefour presente in Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia. Coop egemone in Toscana, Emilia Romagna e Umbria, Conad nel Lazio e in Abruzzo. Sisa in Sardegna e Calabria, Auchan in Sicilia e Interdis in Campania.
Negli ultimi tempi alcuni centri Carrefour dell’Italia meridionale sono stati chiusi e questo, forse, contribuisce a spiegare l’arrivo del gruppo francese a Sassari, area non ricca né densamente abitata.

Quanto contano i punti vendita della Sardegna nella geografia commerciale italiana? Complessivamente i discount sardi sono il 5,21% della quota nazionale, il 2,35% degli ipermercati, il 6,44% degli esercizi commerciali tra i 100 e i 299 metri quadri (Lis), il 2,85 dei supermercati.

Gli italiani spendono ogni anno circa 90 miliardi di euro contro i 3 miliardi e 141 milioni dei sardi. In particolare nei supermercati isolani vengono spesi oltre un miliardo e 67 milioni, negli ipermercati 687 milioni di euro, nei Lis 868 milioni di euro e nei discount 518 milioni di euro.

I punti vendita in Sardegna sono 1.626 (dati del gennaio 2010, sette in meno dell’anno precedente), dei quali, come si vede dalla tabella, 308 sono supermercati (superficie di vendita tra i 400 e i 2499 metri quadri), 1301 Lis (superficie di vendita tra i 100 e i 399 metri quadri), 23 ipermercati (2500 metri quadri e oltre) e 193 discount.

Giusto per capire bene la tabella si pensi che Selex in Sardegna è rappresentata dalle insegne Iperpan e Superpan, Interdis è la catena controllata dall’imprenditore Giovanni Muscas di Villacidro (Nonna Isa, Sidis etc), Rewe (capitale tedesco), invece, è Iperstanda e Superstanda, Sigma è della Csd di Villacidro, Crai fa capo agli Ibba di Oristano.

Basta scorrere quella tabella per vedere che il denaro che i sardi usano per fare la spesa prende in gran parte la via di Milano, della Francia o della Germania. Che fare?

«Io non sono certo spaventato dall’apertura di un nuovo centro commerciale straniero a Sassari – dice Giovanni Muscas, fondatore e capo indiscusso di Nonna Isa, 400 punti vendita sparsi nell’isola, tra quelli di proprietà (una trentina) e quelli affiliati – Ero preoccupato quando ero piccolo e andavo a scuola senza scarpe. O quando giravo la Sardegna con l’Ape per fare l’ambulante e avevo freddo alle gambe perché avevo solo una copertina. Ma le nuove sfide non mi spaventano. All’inizio qualcosa la perderemo tutti, ma solo all’inizio. Chi è organizzato può stare tranquillo. Certo i piccoli non reggeranno e chiuderanno. Ma noi abbiamo qualità e quantità e continueremo a stare sulla piazza. Se poi mi vogliono pizzicare – aggiunge Giovanni Muscas – mi farò sentire. Il problema è che questa giungla del commercio andava regolata. Ma chi si deve occupare di queste cose, come i politici, non lo fa. Dovrei farlo io?»

«Dobbiamo andare fino in fondo puntando sul turismo – dice Rinaldo Carta, vice presidente nazionale del Gruppo Sisa, patron di Cobec e uomo di punta del trade sardo – È vero che la mancanza di denaro (in rapporto a quanto possono spendere i grandi gruppi francesi e tedeschi) limita in parte le capacità imprenditoriali dei sardi. E così siamo schiacciati dal potere economico di chi viene da fuori dell’isola. Tanto che non ho pudore a dire che la nostra isola è colonizzata».

«Io – prosegue Carta – vado avanti con determinazione, orgoglioso della mia sardità contro queste imponenti macchine da guerra rappresentate dai gruppi stranieri. Insieme ai miei dipendenti voglio combattere fino in fondo. Intanto cerco di trasmettere un messaggio che forse non è chiaro a tutti: i nostri prezzi sono più bassi rispetto a quelli della nostra concorrenza. Molti consumatori, invece, possono credere il contrario, grazie all’abile politica di promozione di alcuni articoli che fanno le altre grandi catene. Ma dati alla mano posso dimostrare che i nostri prezzi sono inferiori del 4, 5 e 6% rispetto a quelli dei concorrenti. Quando nella pubblicità diciamo che siamo più bassi degli altri stiamo comunicando una situazione di prezzi che possiamo dimostrare in qualunque momento. La gente vorrebbe spendere diversamente ma non può – aggiunge Rinaldo Carta -, la capacità di spesa dei sardi è diminuita repentinamente negli ultimi anni. I sardi vorrebbero comperare i prodotti locali che sono certamente più buoni ma poi si rassegnano a comperare i prodotti simili, pur buoni, solo perché costano di meno. E invece dobbiamo risolvere la nostra economia proponendo la vendita di una maggiore quantità di prodotti sardi. La gente mangerebbe meglio e ne guadagnerebbe la nostra economia. Solo a Corte Santa Maria, a esempio, i prodotti sardi rappresentano l’11,5% del carrello della spesa. E non illudiamoci: di questi tempi le 100 persone assunte da una struttura controbilanciano 100 nuovi disoccupati creati dall’apertura proprio di quella struttura».

Pasquale Porcu – 21 aprile 2011  Fonte: LA NUOVA SARDEGNA

28 COMMENTI

  1. Quest’uomo dice: “Chi è organizzato può stare tranquillo. Certo i piccoli non reggeranno e chiuderanno. Ma noi abbiamo qualità e quantità e continueremo a stare sulla piazza.”. Cioè, dice: Chi se ne strafrega se molti perderanno il lavoro, tanto noi grandi riusciremo a stare sul mercato.

    Una concezione della società veramente alta. COMPLIMENTONI!

    • E sì, mò rimettiamo i dazi doganali…io direi che invece bisognerebbe incentivare la rinascita della piccola distribuzione, dei negozietti quindi e della vendita diretta dal produttore al consumatore. Non bisognerebbe concedere più spazi ai centri commerciali, italiani, sardi o stranieir che siano. Poi basta anche alle multisala che allontanano i cittadini dal centro città (o paese). Insomma va intaccata la grande distribuzione e incentivata l’unità dei produttori. Bisognerebbe guardare al passato per avere un futuro migliore. E non crediate sia un paradosso.

    • Edwar, dimentichi che siamo in regime di libero mercato deciso dall’Unione Europea del quale l’Italia è tra i primi sostenitori. La politica autarchica la praticò Mussolini negli anni Trenta e sono ben note le sue drammatiche conseguenze che ebbe sull’economia del Paese. I centri commerciali sono l’esempio ecclatante del libero mercato, il guaio è che le imprese sarde non sono in grado di competere con i grandi gruppi internazionali. Isa, benché di medie dimensioni, ad un attacco dei giganti (Ahuchan, Coop, Conad) non avrebbe le forze per reggere e negozierebbe le condizioni per lasciarsi assorbire senza batter ciglio!Il nemico dei consumatori sardi non sono i centri commerciali (se i clienti vanno a farci la spesa, è perché si trovano meglio che altrove e questo non può essere impedito da uno Stato di diritto); nemico è piuttosto la lunga trafila dei passaggi tra il produttore e il consumatore. In ogni caso, il sistema del km zero ritengo sia la soluzione più vantaggiosa per il consumatore: si risparmia il costo di almeno due passaggi che verrebbero eliminati e migliorerebbe la bontà del prodotto, specie quello alimentare. I sardi siano più intelligenti: scelgano i prodotti a km zero e consumino prodotti sardi, si innescherebbe un circolo virtuoso molto interesante con notevoli ricadute positive anche sull’occupazione.

      • I centri commerciali sono nemici dei sardi e dei non sardi (scarsa qualità, fallimento dei piccoli negozi, aggregazione dell’offerta e quindi possibilità di erodere i guadagni degli agricoltori costretti a subire il prezzo loro imposto, omologazione culturale, consumismo, ecc.). La scleta sarebbe quella di ridurre i consumi e \o di indirizarli specificamente verso certe realtà, ma si tratta comunque di scelte di minoranze perchè di fronte ai bisogni indotti le masse non sono in grado di difendersi. Non c’è nessuna libera scelta nell’andare nei centri commerciali, ci sono i bisogni indotti che influiscono in maniera preponderante.

  2. Sulla quantità non ci sono dubbi ma chissà poi cosa sia per il sig. Muscas la “qualità”. Forse significa importare olio d’oliva a basso costo dal nord Africa mortificando i nostri produttori, piccoli e meno piccoli? Stesso dicasi per agrumi e altri prodotti vari? Non sono sicuro che si faccia questo, chiedo.
    La sindrome dissociativa (non voglio usare un termine più forte) propria della grande distribuzione consiste proprio in questo: da un lato si prende atto dello scarso potere d’acquisto delle famiglie e, conseguentemente, tutto si persegue meno che la qualità, proprio curandosi soltanto del fatto che i prezzi si vuole siano più bassi possibile; dall’altro, poichè si opera in un contesto geograficamente ben delimitato, si fa finta di stare attenti alla produzione locale lamentando il fatto che sono i consumatori che scelgono il prodotto meno caro.
    La realtà è che non c’è alcun segno distintivo nelle catene di distribuzione sarde rispetto a quelle nazionali. Quelle estere non so.
    In generale, in Italia, se si tenta di presentare un prodotto di qualità ad una, anche ritenuta seria, realtà distributiva ci si sente dire come prima cosa che la cosa più importante è il prezzo (basso). Basta chiedere a chi ha avuto esperienza diretta in tal senso. La qualità del prodotto diventa, in questo modo, un fatto del tutto secondario.

        • evviva i negozietti di quartiere. dove c’è sempre un sorriso , cordialità e dialogo cosa che non succede nei centri commerciali. io ho lavorato per anni alla standa ma da allora sono cambiati i tempi e modi di servire il cliente. a maggior ragione preferisco il singolo negozio e anzi più è piccolo e più mi ci trovo a mio agio, solo il fare due chiacchere con l’uno e con l’altro ti sei caricata di energia. il centro commerciale penso che sia anche un attira acquisto , infatti entri solo per una cosa e ti ritrovi il carrello pieno di cose anche inutili. spero che non accada mai ciò che è stato detto e come scrive ziliani sarebbe la rovina di una sardegna intera .

          • A barbaradeidda: certo il negozietto di quartiere è una gran bella cosa, soprattutto quando è specializzato in prodotti di nicchia. Però la legge del libero mercato è in corso in tutti i Paesi occidentali e, dunque, per i negozietti che vorrebbero sopravvivere con la chiusura dei centri commerciali non c’è alcuna speranza. Il processo di concentrazione delle attività di vendita e di servizi nei centri commerciali è, in buona parte, in mano alle multinazionali e solo il comportamento dei consumatori può condizionarlo. Faccio un esempio: se i piccoli esercenti riescono a essere competitivi offrendo prodotti simili a prezzo inferiore, il consumatore va da questi, ma se non accade e si accorgono di essere trattati meglio nei centri commerciali è chiaro che vanno lì. In ogn caso, il consumatore è libero di andoare dove si trova meglio. Nella fattispecie villacidrese le richieste di chiudere il centro commerciale è velleitario quanto demagogico sul piano legale, poi sarebbero i consumatori e dipendenti che si trovano bene da Isa a schierarsi contro. Perciò cerchiamo di spendere meglio le energie su altri settori più dannosi per la collettività, come i rifiuti nelle discariche abusive, il caro bollette di tutti i generi, il costo della politica, l’inefficienza della pubblica amministrazione. Buona giornata e auguri di buona Pasqua.

      • Hai visto, Edward, gli sconti che ci sono all’Iper Pan? E poi le iniziative del buono spesa sono straordinarie. Inoltre l’Iper Pan è vicino al paese e non è situata nella zona Industriale come il centro commerciale: è molto più comodo. Speriamo che l’Iper Pan apra un centro commerciale grande come La Corte del Sole. Potrebbe comprare il terreno nella zona industriale per uno straccio di valore e poi il comune cambia la destinazione d’uso e si costruisce un centro commerciale grandissimo.Spero che i dirigenti dell’Iper Pan mi ascoltino!

        • Si, ho visto kabutomaru!
          Condivido in pieno il tuo discorso.
          Si può andare benissimo a piedi e risparmiare pure sulla palestra (pensate un pò, fare la spesa con tripla efficacia : Si risparmia sulla benzina, Si risparmia sulla palestra, e si risparmia pure sulla spesa(Perchè si favorisce la concorrenza, che non fa mai male)
          Perchè non aprono direttamente un bowling?Sono sicuro che la gente ci andrebbe molto più volentieri che al cinema (Potrebbero farlo vicino al cuevador, potrebbero fare un’accordo..ottima pizza e ottimo bowling, perfetto per i giovani del medio campidano) Per favore, dirigenti Pan, ascoltate i consumatori, loro si che sanno cosa serve per rilanciare i supermercati.

  3. I piccoli negozi cessano di esistere per merito della pervicace invadenza dei grandi centri commerciali e non possono certamente competere con questi ultimi offrendo gli stessi prodotti ad un prezzo inferiore o pari, semmai dovranno puntare su prodotti di qualità superiore (e questo non è difficile). Il fatto che esista il diritto di aprire un centro commerciale non significa necessariamente che tutti dobbiamo prenderne le difese. La questione è puramente pratica: quali sono i vantaggi offerti dalla GDO rispetto alla piccola rivendita sotto casa? Personalmente (considerate tutte le conseguenze del caso) non ne vedo neanche uno, a parte il basso prezzo medio dei prodotti offerti (ottenuto grazie alla ricattatoria dittatura nel rapporto coi produttori e per il fatto che si lavora esclusivamente sulla quantità): è un vantaggio solo apparente in quanto è anche solitamente basso il medio rapporto qualità/prezzo.
    Si illudono le persone che sia la migliore offerta possibile semplicemente perchè si stanno distruggendo tutte le altre.

    • Infatti se si va a vedere, a villacidro erano presenti ( Pellicano, Conad, e Standa) e tutti vendevano..certo, non erano stramiliardari, ma si stava bene.
      Poi, aperto il centro commerciale, hanno chiuso
      Pellicano, conad ( ora c’è una nuova farmacia) standa ( è diventata despar)
      gli unici che non hanno chiuso sono i sigma..e quelli del Muscas.
      Se osservate (come dice giustamente angelo) al centro commerciale potete trovare spesso prodotti molto più cari che negli stessi market isa..è pura e semplice illusione.
      Solo che uno va a fare la spesa al C.C e non bada al fatto che, ad esempio, i cereali costino 40 centesimi in più (esempio che non ha a che fare con la realtà)

  4. Roberto Saviano Disse:
    “Da più parti, si lamenta mancanza di “senso dello Stato”. Non è facile, tuttavia, cogliere le ragioni profonde del disagio, cogliere la vera patologia, al di là dei semplici sintomi. Bisogna capire, infatti, cosa significa “senso dello Stato” e come si può tentare di ricostruirne le fondamenta.
    La mancanza di “senso dello Stato” è l’espressione di una crisi di valori istituzionali, di reale coscienza democratica, di forti e radicate relazioni fra le varie sedi di formazione dell’indirizzo politico, che dovrebbero costituire il fondamento della Repubblica.”
    L’amore per il territorio, il senso di appartenenza ma anche la promozione di importanti valori servono a costruire una nuova società giovane ed elastica, pronta alle sfide che l’Europa ha già vinto, ma saldamente ancorata ai quei principi con i quali siamo cresciuti e che abbiamo visto scomparire.
    Legalità, competenza ed umiltà, senso di appartenenza, voglia di riscatto ma anche trasparenza nella pubblica amministrazione, denuncia e partecipazione sono imprescindibili valori sui quali non si accettano deroghe. In nessun modo.
    Dall’Europa arriva in Italia la direttiva 2006/123/CE “ammazza piccolo commercio”.
    Disinteresse della politica, potere della Grande Distribuzione e la direttiva 2006/123/CE, che dall’Europa impongono la liberalizzazione del settore. Al volgere del XXI secolo i confini del commercio sono ridisegnati e non sempre con la finalità di perseguire il benessere collettivo.

    1) Che cosa prevede la direttiva 2006/123/CE?
    La direttiva 2006/123 CE ex direttiva 2006/123/CE è il provvedimento con cui l’UE sancisce la libera circolazione dei servizi tra gli stati membri e la libertà di stabilimento delle attività economiche di servizi. La norma sta per essere recepita dall’Italia e avrà conseguenze dirette sul settore del commercio. Il governo sta elaborando la bozza di decreto per il recepimento della direttiva, attualmente è in discussione nella conferenza Stato-Regioni.
    Rischiamo ripercussioni enormi sul piccolo commercio di tutta Italia: 170.000 imprese con milioni di posti di lavoro.

    2) Quali sono le nostre preoccupazioni?
    Nella bozza di Governo i punti del contendere sono due. Il primo è la possibilità di concedere autorizzazioni commerciali alle società di capitali e alle cooperative. Il secondo è la decadenza della concessione per la vendita dopo dieci anni, concessione che sarebbe poi riassegnata attraverso un nuovo bando pubblico.
    Con l’apertura alle società di capitali e alle cooperative sorge il rischio che le aree mercatali finiscano sotto la gestione della grande distribuzione e dei grandi gruppi economici di vendita organizzata. Sul fronte delle concessioni non sarebbero riconosciuti i diritti acquisti del titolare uscente; cosi i mercati rischierebbero di essere rivoluzionati ogni dieci anni.
    Questa direttiva, se applicata, farebbe perdere il diritto ad avere rinnovato automaticamente l’unica cosa che per i piccoli commercianti ha un po’ di valore: la concessione. Immaginate poi, come possano fare a competere con le spa o con le grandi cooperative che hanno a loro disposizione capitale immensa.

    3) L’amministrazione pubblica favorisce la Grande distribuzione e penalizza il piccolo commercio?
    Indubbiamente viviamo in un tempo in cui tutta la società civile ha fame di vera democrazia, infatti, non esistono più regole che equilibrino il divario che si è creato fra le grandi lobby economiche, alle quali tutto è concesso, e il piccolo commercio radicato sul territorio (solo nel medio campidano abbiamo ormai perso circa 6.000 posti di lavoro negli ultimi tre anni). Un piccolo commercio che sta soffrendo la crisi economica in maniera devastante, abbandonato al suo destino dalla politica e da tutte le associazioni sindacali nazionali, la quale ormai ha spostato i loro interessi verso nuovi orizzonti.

    4) In che maniera?
    Parcheggi 2 euro l’ora, abusivismo commerciale che ormai ha assunto livelli paragonabili alla criminalità organizzata, totale disinteresse della politica e nessuna politica costruttiva per il rilancio del piccolo commercio!

    COMMENTO TROPPO LUNGO

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